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sabato 15 febbraio 2014

Vinod Sahai: “Potevo aiutare i marò ma mi fermò il governo Monti”

Il rappresentante degli indiani d'Italia, Vinod Sahai, alias «l'uomo che in India apre tutte le porte», a nome della comunità indiana in Italia, che oggi si sente sotto accusa, intervistato da “Il Giornale riferisce che aveva trovato una via d'uscita per i marò: "C'era la soluzione: un'istanza. Ma mi convocò l'allora ministro della Difesa"

Vinod Sahai: “Potevo aiutare i marò ma mi fermò il governo Monti”

È vero che il caso dei marò si poteva sbloccare un anno fa?
«Certamente e più di un anno fa. Sono andato in India diverse volte in accordo con il ministe­ro della Difesa italiano, come rappresentante dei 250mila in­diani presenti nel vostro paese. A Delhi ho parlato con il pre­mier, il ministro degli Interni e quello degli Esteri. Tutti aveva­no sottolineato che l’Italia sta­va esercitando solo pressioni politiche. Anche il presidente russo Vladimir Putin si era rac­comandato sul caso dei marò. Le autorità indiane sosteneva­no di avere le mani legate, per­ché la Corte suprema era al di sopra dello stesso governo».

E lei aveva un’idea concreta in mente per uscire dall’im­passe?«Sono andato dal presidente della Corte suprema, Altamas Kabir, che già era coinvolta nel caso marò. Era stato assistente di mio suocero e mi disse chiara­mente: “ Non possiamo fare nul­la se non ci viene chiesto con un’istanza”. Per questo motivo ho preparato una petizione a nome degli indiani che vivono in Italia. Spiegavo che voleva­mo mantenere gli ottimi rap­porti fra i due paesi e garantire gli interessi della nostra comu­nità. Si chiedeva che la Corte su­prema autorizzasse il governo indiano a trovare una soluzio­ne extragiudiziale oppure che rinviasse il caso a un tribunale internazionale».

E poi cosa è successo?
«Nel settembre 2012 l’istan­za era pronta, ma sono stato convocato a Roma. Il ministro della Difesa Di Paola mi ha chie­sto di non presentare la petizio­ne. Gli indiani avevano arresta­to i marò e così non sarebbe sta­ta l’Italia ma un rappresentan­te della comunità indiana a sbloccare la situazione. Gli ho detto: “Ma a voi dovrebbe solo interessare che tornino casa”. Non mi ha risposto».

Quante possibilità aveva di sbloccare la situazione con la petizione?«L’istanza l’ho preparata so­lo dopo aver parlato con il presi­dente della Corte suprema e con i vertici dei ministeri inte­ressati in India. Sarebbe stata senz’altro accolta».

Con il governo Letta nessu­no l’ha interpellata?«Ho scritto una lettera al mini­stro Bonino, spiegando tutto e dicendomi disponibile a ripren­dere in mano il caso. Non ho ri­cevuto alcuna risposta».

L’Italia ha compiuto altri er­rori in questi due anni?«Diversi. L’Italia si sta muo­vendo solo politicamente. I mi­nistri vanno in India pure se non serve a nulla, solo per far ve­dere in patria che fanno qualco­sa. Le pressioni politiche sono state contro producenti».

Ma il caso è politico…
«L’opposizione si è avvantag­giata perché Sonia Gandhi è di origine italiana. Se i marò torna­no a casa il suo partito perde si­curamente le elezioni».

Forse le perderà lo stesso. Il leader nazionalista indù, Na­rendra Modi, che vuole la te­sta dei marò, potrebbe diven­tare primo ministro. Cosa ac­cadrà a Massimiliano Lator­re e Salvatore Girone?
«Se vinceranno le elezioni non ci sarà più motivo di agita­re la propaganda. E allora trove­ranno una soluzione per far tor­nare a casa i marò oppure per rinviare il caso a un tribunale in­ternazionale. Può anche essere che ci sia una condanna non esagerata, che poi i marò scon­teranno in Italia. E se il presi­dente Napolitano vorrà graziar­li Delhi non si opporrà». (da: ilgiornale)


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